Senza diventare troppo sentimentali, il 10 aprile io e la quarantena abbiamo festeggiato il nostro primo mese di convivenza insieme: mi sembrerebbe irrispettoso non tracciare un bilancio, per quanto assolutamente preliminare, di questa relazione.
Non entrerò nei particolari compromettenti di serate ad alto contenuto casalingo, limitiamoci a dire che come nella migliore tradizione della vita di coppia, ci sono stati alti e bassi. Quindi, ecco di seguito il resoconto in numeri:
serie terminate 4, serie in corso 1, serie in coda 2 (almeno), maratone di Mentana +∞ (ho perso il conto sinceramente), pizze mangiate 1.
Il dato che più fra tutti mi induce a profondi riflessioni esistenziali è sicuramente l’ultimo, considerando che in vita mia non penso sia mai trascorso tanto tempo tra una pizza e quella successiva da poter utilizzare l’unita di misura del “mese” per quantificare l’attesa.
Ma questa è ancora una ferita aperta, preferisco concentrarmi su dibattiti più effimeri: parliamo di serie tv dunque, utilizzando la ricetta che prevede voti, recensione e inevitabili spoiler. (Solo un’avvertenza: non sono largo di maniche nei voti).

Hunters – voto 6,5

Una tecnica narrativa decisamente tarantiniana, una prova attoriale che valorizza i singoli più che il coro, un racconto che rimbalza senza troppa difficoltà tra le atrocità della ricostruzione storica e la crudezza della serialità fiction (quando ci sono di mezzo i nazisti, lacrime e sangue sono assicurati tanto quanto il senso di rabbia che ti consuma dentro sebbene tu non abbia vissuto da vicino determinati eventi). Vista la premessa, come mai un voto così poso esaltante? Per la sensazione finale che sia mancato qualcosa per crearne un capolavoro, quell’ultimo tocco che trasforma un ottimo prodotto in un pezzo irripetibile. Con il rischio, alto, che la seconda stagione possa trascinarsi verso un costante declino, anche considerando l’uscita di scena, già al termine di questa prima tornata di episodi, di protagonisti importanti, sia come personaggi che come attori.

The Man in the High Castle – voto 7

Partiamo da un dato di fatto incontestabile: Philip K. Dick era un genio, uno storyteller visionario, nell’accezione più positiva del termine! Detto questo passiamo alla serie, che appunto si ispira ad uno dei suoi romanzi e racconta di un universo parallelo in cui gli Alleati hanno perso la Seconda Guerra Mondiale e le potenze dell’Asse si sono spartite quel che resta degli Stati Uniti d’America. Già solo questa idea della realtà dispotica del come sarebbe potuto essere (se i nazisti, sempre loro, avessero vinto) ti tiene incollato allo schermo stagione dopo stagione, 4 in tutto: un numero perfetto se non si avesse la netta sensazione sul finale che gli sceneggiatori abbiano voluto chiudere i battenti in fretta, più per sfiancamento che per convinzione. Un peccato insomma, anche per la fine immaginata per il vero protagonista della serie (a dispetto di un The Man in The High Castle più enigmatico che essenziale alla storia, nonostante il peso importante di aver dato il nome alla serie), quel John Smith trasformato dagli eventi e che non riesci mai ad odiare fino in fondo.

La Casa de Papel – voto 4

In questo caso sono stato fin troppo generoso, per una stagione totalmente senza senso, che non si conclude e già questo è un piccolo crimine, considerando che al di là dei tanti inevitabili errori di inesperienza commessi nel primo ciclo narrativo (prima e seconda stagione in Italia), la storia era già bella che chiusa dopo la prima rapina. Il successo l’ha riportata in vita per una terza stagione, non necessaria ma al diavolo per una volta il buon senso: eravamo tutti estasiati all’idea di poter rivedere le nostre “città” preferite. Ok, quarta stagione: fine dell’entusiasmo. Dialoghi inesistenti, personaggi trasformati in caricature di sé stessi, interconnessioni di genere paradossali (si veda lo scontro in stile terminator o matrix con l’insopportabile Gandia, Jefe de Seguridad del Banco de España). Perfino le note più interessanti del precedente capitolo, Palermo e la inspectora Sierra, appaiono più stanchi qui, sia nella recitazione che nei contenuti. Ciliegina su questa torta riuscita male: la scoperta finale che lo scempio continuerà ancora per una quinta temporada (che per la cronaca dovrà fare a meno anche di uno dei suoi personaggi più riusciti: Nairobi, come già era successo con Berlin precedentemente).

Ozark – voto 8

Molti la trovano lenta. Pure io. Chi ha detto che sia un problema? Io lo ritengo il ritmo perfetto per raccontare questa storia: non vi aspettate quindi per questa terza stagione improvvisi picchi di adrenalina e scene mozzafiato di inseguimenti o sparatorie stile action movies. Aspettatevi invece attori dalla presenza scenica disarmante, dialoghi che comunicano anche quando sulla scena regna il silenzio, dinamiche intrecciate, imprevedibili e soprattutto rapporti, che si deteriorano, che si ricompongono, che si celano, che si mandano letteralmente e spesso a quel paese, rapporti umani insomma, con tutto il carico emotivo che sono soliti portarsi dietro, già in contesti “normali”, figuriamoci in una contea dove la persona più normale è una ragazzina riccia, bionda, dura con gli altri, fragile con se stessa, che ha ucciso gli zii per salvare il suo datore di lavoro (prima stagione), ha lasciato uccidere suo padre per salvare il suo datore di lavoro (seconda stagione), si è lasciata pestare dal figlio di un boss per salvare il suo datore di lavoro (terza stagione). Per la cronaca, il suo datore di lavoro non è mai cambiato nel corso di queste prime tre stagioni (per la quarta però si prospettano variazioni sul tema) ed è sempre stato quel Marty Byrde / Jason Bateman (produttore, regista e attore protagonista) che domina la cupa realtà di Ozark, nonostante preferisca talvolta eclissarsi nella sua razionalità.

Better Call Saul – voto da definire

Non posso esprimere un giudizio completo, considerando che ad oggi mancano ancora due episodi per chiudere questa stagione. Tuttavia, per ora, è senza dubbio la migliore! Detto da chi era stato molto critico con la precedente, troppo ripetitiva e ridondante. Speriamo bene quindi per il finale…

Menzione d’onore

Zoro e la sua Propaganda Live: appuntamento fisso del venerdì sera in tv (uno dei pochi motivi validi per accendere ancora la tv senza passare direttamente all’hdmi) prima, durante e sicuramente anche dopo la quarantena: la testimonianza sempre attuale che ridere riflettendo è un connubio che non dovremmo mai perdere di vista, a prescindere dalle contingenze che ci circondano in maniera più o meno asfissiante.

Standing Ovation

Le dirette di Conte: tutti sappiamo cosa dirà, tutti sappiamo che farà tardi, tutti sappiamo che seguiranno polemiche tra innamorati e detrattori, eppure… siamo sempre lì, incollati, pronti a tradire la nostra fedele compagna: miss quarantine.