Piaciuto il finale di stagione andato in onda ieri? Magari un po’ scontato, questo va detto: c’era da aspettarselo che il nemico non venisse sconfitto definitivamente già al termine della prima fase. Anzi, prepariamoci a combatterlo per strada con guanti e mascherine.
Ma preferibilmente poche persone alla volta, sì perché quello che forse è poco chiaro a troppa gente è che oggi non è il 25 aprile del 1945 e la fase 2 non è un “libera tutti” di un antico gioco di bambini.
E non ci pariamo il culo dietro il facile scaricabarile del “ma la legge è poco chiara su chi possa spostarsi”, lasciamo questa pratica poco etica a chi lo fa di mestiere, ossia i politici (una discreta parte, altrimenti è facile cadere nel qualunquismo dell’erba a fasci). È impossibile immaginare che venga emanata una legge, o meglio un decreto (di questi tempi vanno più di moda) che regolamenti tutti i casi della quotidianità di circa 60 milioni di cittadini in Italia, altrimenti la nostra Costituzione reciterebbe “L’Italia è una dittatura fondata sul…” etc, etc (sempre che in quel caso ci venisse lasciata una Costituzione su cui fare affidamento). Si tratta semplicemente di buon senso: il virus è stato debellato per sempre? No. Il rischio di contagio è scomparso? No. La gente ha smesso di ammalarsi o perfino di morire per colpa del Covid? No. L’isolamento ha rallentato il propagarsi del virus? Sì. Alcuni miei atteggiamenti poco consoni rispetto alle indicazioni fornite dagli scienziati e dal Governo rischierebbero di compromettere gli sforzi fatti finora per stabilizzare i dati sul contagio? Sì. Questi stessi atteggiamenti espongono la mia persona, quella delle persone a me care ed infine quella di sconosciuti con cui entro in contatto, a gravi danni per la salute? Sì. Qual è la conclusione di questa equazione? Semplice: non uscire di casa se non strettamente necessario. Per lo strettamente necessario, come dicevo prima, non aspettate decreti, leggi, consigli di amici che hanno letto un articolo su internet, segreti rivelati da assidui frequentatori di ritrovi per complottisti: affidatevi al vostro buon senso, sperando che ve ne sia rimasto q.b., proprio come nelle migliori ricette postate sui social durante questa indimenticabile (purtroppo) quarantena.
Ok, ho finito il pippone, passiamo alle cose serie adesso, ossia un matematico report sulla mia prima fase: dunque, in ordine sparso, 8 serie viste, per un totale di 11 stagioni (non so perché mi viene da cominciare sempre da qui), 4 pizze fatte in casa (pochine rispetto agli standard di Instagram, ne sono consapevole), n videocall distribuite tra whatsapp, hangout, skype e zoom (non ho portato il conto, scusatemi), 1000 pagine lette (fa più figo di dire 1 libro), tra le 40 e le 50 bottiglie di vetro buttate (non compro acqua in vetro, quindi fate un po’ voi sul contenuto delle suddette bottiglie prima che venissero svuotate e riposte nell’apposito contenitore della monnezza), 50 km di cyclette e tanti altri numeri che sarebbero solo l’ulteriore testimonianza di questa forzata routine.
Stato mentale: provato, ma risponde ancora agli stimoli.
L’importante è capire dove cercarli, questi stimoli.
Dalla vita reale? Magari, se solo di recente la vita reale non si fosse trasformata in una versione restaurata di una pellicola post apocalittica proiettata in tutte le migliori sale (delle nostre case).
Dallo smart working? In teoria. L’idea alla base di queste due magiche parole sarebbe esattamente quella di agevolare l’approccio al lavoro di un dipendente, variandone e migliorandone l’organizzazione: è dimostrato che una gestione responsabilizzata generi un incremento della produttività sia in termini quantitativi che qualitativi, che tradotto significa più soddisfazione, meno stress, e perfino più tempo da dedicare ai propri progetti, di vita, professionali, o qualunque altra cosa ci passi per la testa. Purché ci lascino appunto il tempo di farci passare qualcosa per la testa. Ed ecco che la teoria a cui accennavo all’inizio di questo paragrafo crolla in un cumulo di macerie che ci impediscono di uscire dalla nostra casa/ufficio e dalle vecchie abitudini di un working che è tutto tranne che smart.
Dalla politica? No dai, questa era una battuta.
Dall’amore? Forse è la risposta più calzante. Ma da single, consentitemi una variazione sul tema. Parliamo quindi di passione (più generico) e magari decliniamolo al plurale: passioni! La pubblicità, ad esempio (almeno per me, ognuno può scegliere le proprie di passioni): devo dire che ho trovato molto interessante e stimolante (appunto) come i commercial dei più grandi brand nazionali e internazionali (più o meno in tutti i settori merceologici) si siano rimodellati sulla crisi virologica di questo 2020, proponendo un tono meno aggressivo e contenuti di speranza, di cambiamento, di solidarietà. Come se all’improvviso la sceneggiatura di tutti gli spot passasse al vaglio di Papa Francesco, che in quanto a discorsi, permettetemi di dire (da ateo), non ha rivali al momento: bastano poche sue parole di incitamento a lottare e resistere uniti per ripulire in un attimo tutta la bile riversata sui microfoni delle loro conferenze stampa dai “padroni” eletti del nostro mondo.
Ed è così ad esempio che il nuovo spot della Lavazza (https://youtu.be/P9cxIxMatnE) si trasforma in un invito a ripensare il mondo che vogliamo ricostruire dopo questa terribile emergenza che ci ha messo in ginocchio, un invito che il maestro Chaplin rivolgeva proprio ai potenti della Terra e che allo stesso modo io spero possa coinvolgerci tutti, facendo leva sul nostro buon senso (sempre quello), possa contagiarci (stavolta positivamente) con lo stimolo (eccolo che finalmente compare) a pretendere qualcosa di meglio piuttosto che semplicemente quello che avevamo prima del Covid.
Vi lascio quindi con il discorso del Grande Dittatore, spero sia illuminante per voi ancora oggi come lo fu per me la prima volta che lo ascoltai anni fa: